La salute mentale nello sport e nel motorsport

La salute mentale degli atleti è un argomento che sta diventando sempre più discusso, in misura maggiore più dai diretti interessati che da istituzioni e media, con questi ultimi ancora imbarazzati o legati a vecchie strumentalizzazioni quando si tratta di argomentare il tema. 

I recenti aumenti di copertura mediatica e della conoscenza pubblica hanno fatto luce sullo sport e sul fattore fisico come fattori chiavi per la nostra salute mentale. Ma purtroppo ancora troppe persone ne sottovalutano la sua importanza, anzi pensano che non sia così importante e prendono in giro chi si ritira dalle gare agonistiche per la troppa pressione, bollandoli come “deboli”.

Un grave errore dovuta alla disinformazione di chi scrive o alla necessità di ingabbiare il tema in una cornice stretta, pur di rincorrere la notizia del momento, proprio come è capitato per il “caso” Ilicic. Per fortuna sembra che qualcosa stia cambiando qualcosa, come ad esempio nel mese di settembre 2021 il Chicharito Hernandez ha lanciato il podcast “Non siamo Robot” in cui parla insieme ad altri ospiti della condizione di salute mentale degli atleti, troppo volte schiacciati dall’ambiente e dai ritmi frenetici in cui lavorano.

I casi più recenti sono quelli di Naomi Osaka, travolta dalle polemiche perché non voleva partecipare alle conferenza stampa dopo i match nel torneo francese del Roland Garros e gli stessi organizzatori avevano minacciato di espellerla, e di Jannik Sinner, che ha scelto di rinunciare alle Olimpiadi di Tokyo per lavorare e cercare di ritrovare il suo miglior tennis e reduce da una stagione d’erba molto deludente.

Purtroppo fin troppe persone pensano che le loro “opinioni” scritte dal divano di casa possano essere considerate verità assolute, non mettendosi mai nei panni degli atleti e capire il perché di alcune scelte drastiche. E quando finalmente vediamo degli atleti fare un passo avanti ad ammettere una pressione mentale, viene giustificato come un “capriccio”, una provocazione da grande star dalla maggioranza dei fan.

Quello che ha colpito la ex n.2 del ranking WTA e l’atleta donna più pagata al mondo è stata la depressione. Le parole della tennista giapponese sui social rivelano uno stato d’animo confuso e un malessere che le provoca disagio che lo porta dietro dagli US Open 2018. «Gli atleti sono essere umani. Abbiamo il privilegio di fare i tennisti e siamo devoti alla nostra professione, ma non conosco altro mestiere dove un’unica assenza venga così stigmatizzata…In ogni altro lavoro, saresti perdonato per aver preso un giorno per te. Non dovresti dare spiegazioni dei tuoi sintomi, avresti diritto alla privacy».

Naomi Osaka: ‘It’s O.K. Not to Be O.K.’

Naomi Osaka, Australian Open 2019

Accettare il problema è infatti fondamentale per iniziare a lavorarci, un po’ come si fa quando si subisce un grave infortunio. Solo che in questo caso è la mente a dover essere recuperata, e serve tanto allenamento. Naomi Osaka è solo l’ultima di una serie di super-sportivi che hanno dovuto fare i conti con la depressione. Anche la sua collega Serena Williams, un’altra tra le più grandi tenniste del circuito, qualche mese fa aveva espresso il suo malessere scrivendo un lungo post sulla sua pagina Instagram. «Non mi sento una buona mamma, ma voglio dire alle altre che se avete delle giornate storte è normale». Oltre a lei ne hanno subito Michael Phelps (campione di nuoto americano che detiene il record di 28 medaglie olimpiche vinte), Gigi Buffon (campione del mondo nel 2006) e Per Mertesacker (storico capitano dell’Arsenal).

Il caso del tennista altoatesino è leggermente diverso; ha annunciato la sua rinuncia alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Una scelta legata al momento difficile vissuto nelle ultime settimane, con la volontà di concentrarsi sul lavoro per migliorare ancora. Il suo posto sarà preso dall’altro “ragazzino terribile” del nostro tennis ovvero Lorenzo Musetti.

Una spiegazione che non ha convinto Corrado Barazzutti, ex capitano non giocatore di Coppa Davis della Nazionale Italiana. Il tecnico azzurro ha espresso la sua disapprovazione per la rinuncia di Jannik Sinner ai Giochi attraverso un post pubblicato sui suoi profili social.

Specifichiamo che la parte su Lorenzo Musetti è inesatta (il toscano ha già preso il posto dell’altoatesino e sarebbe stato a Tokyo nelle prossime tre settimane, come già ufficializzato dal Coni). Per quanto riguarda la Coppa Davis, Jannik Sinner vi aveva rinunciato in due occasioni: nel 2019, non prendendo parte alle Finali di Madrid dopo aver vinto le Next Gen ATP Finals a Milano, e nel 2020, quando rinunciò al turno preliminare contro la Corea del Sud a Cagliari (sulla terra rossa, proprio alla vigilia dell’esplosione della pandemia).

Tralasciando il paragone insensato e fuori luogo dell’ex tennista azzurro (il serbo all’epoca era n.1 al mondo e prossimo a distruggere diversi record, invece l’azzurro attualmente è una stella nascente del tennis), non è da tutti rifiutare la chiamata in un torneo così importante a soli vent’anni sapendo di non passare un bel momento e che non potrebbe resistere alle future critiche per una eventuale figuraccia a livello mondiale, a mio avviso dovrebbe essere applaudito per la maturità nel saper riconoscere che non si è nella condizione di superare le aspettative che una nazione ha nei tuoi confronti ma viene giudicato malissimo da chi dovrebbe capirci qualcosa di tennis e dovrebbe proteggere questo talento.

Jannik Sinner, Next Gen Atp Finals 2019

Il ragazzo dovette subire insulti razziali per settimane nei social a causa di questa scelta (l’Italia non è nuova a insultare in modo razziale i suoi connazionali di origine straniera, vedessi il caso di Paola Egonu anche se ricordiamo Jannik è italiano e di madrelingua tedesca in quanto nato nella provincia autonomia di Bolzano-Alto Adige), perché pare che “l’Olimpiade non sono un torneo qualsiasi ma l’essenza dello sport, e se rifiuti una chiamata del genere non sei degno di giocare per questa nazione” o addirittura che sei un “traditore della patria”.

Già quelle olimpiadi non si dovevano fare nemmeno quell’anno per via della pandemia in corso (per non doverle annullare per la seconda volta, scelsero di disputarle a porte chiuse), quindi probabilmente il tennista si è fatto un favore da solo a rifiutare quella chiamata, anche perché le prossime saranno a Parigi 2024, quindi non molto lontane e con l’incubo ormai alle spalle.

Durante le Olimpiadi di Tokyo 2020 è successo qualcosa che ha avuto un impatto più deflagrante dei record battuti o degli ori a sorpresa. Quelli di Tokyo 2020 rimarranno, infatti, i Giochi durante i quali Simone Biles, la ginnasta più forte della storia intorno alla quale aleggiava il pigro motivetto del “non bisogna chiedersi se vincerà un oro, ma piuttosto quanti ne vincerà”, decise di ritirarsi dalla gara a squadre. Questa decisione spaccò completamente il pubblico, polarizzati tra i delusi-polemici del “non ci sono più i campioni di una volta” e i sostenitori del coming out di Biles, che nel lasciare la gara per la quale si stava preparando da quattro anni, fece qualcosa di non previsto dal codice non scritto dell’agonismo, e cioè parlare della propria salute mentale.

Dobbiamo proteggere le nostre menti e i nostri corpi, e non solo uscire e fare ciò che il mondo vuole che facciamo non ha imbastito un trattato di psicologia dello sport, non ha usato grandi metafore sul chi vince, chi perde e basta partecipare, ma ha usato frasi e concetti semplicissimi, che potremmo applicare noi stessi ai nostri doveri quotidiani, per dire che spiace, ma non ho più fiducia in me stessa come prima e sento che non mi sto divertendo più come prima. La sincerità di questo dichiararsi fallibile e “fallente” proprio da parte di colei attorno alla quale era stata costruita una mitologia da super eroe, ha segnato un capitolo nuovo nella storia dello sport professionistico, tanto che nonostante il suo più magro bottino di sempre, il Time Magazine l’ha proclamata atleta dell’anno.

Simone Biles, in quel 27 luglio 2021, ha dato voce ai sentimenti che moltissimi atleti condividono in silenzio, e son i dubbi, le preoccupazioni, le pressioni taciute perché incompatibili con lo spirito agonistico. Parlando apertamente di salute mentale e dei suoi casini, la ginnasta statunitense s’è data il permesso di essere vulnerabile. E ha ricordato ai fan, agli amici e alla famiglia che anche i migliori atleti del mondo hanno paure, o possono finire divorati dall’ansia, pure se fino a un giorno, un mese, un anno prima quella stessa ansia riuscivano a gestirla.

Per questo l’eco delle parole semplici e sincere di Biles è arrivato fino a Pechino, dove gli atleti stanno affrontando, tra le altre cose, anche la nuova ondata della pandemia e l’imprevedibilità dei test del coronavirus.

Non so se sia mai esistito un atleta al mondo nella storia ritenuta favorita come lei. Secondo l’opinione di tutti, è una posizione facile in cui trovarsi. Conosco questa posizione. Non è mai facile vincere. Non è mai facile fare quello che si sta facendo. È più difficile di qualsiasi cosa si possa immaginare. Ed essere nella posizione in cui tutti si aspettano che tu lo faccia rende il tutto ancora più difficile.” ha detto Mikaela Shiffrin, l’atleta femminile più dominante in qualsiasi sport del pianeta in questo momento.

“Tutti la ritengono la migliore e che debba vincere sempre. E non è così perché non è una macchina. È ancora umana. È una donna. Quindi a volte è normale che cada. Siamo uguali, persone normali. Forse abbiamo del talento dentro, sappiamo vincere, ma siamo pur sempre umani. Non siamo macchine.” ha aggiunto Petra Vlhova, collega della sciatrice statunitense.

Da atleti, è qualcosa che interiorizziamo e che portiamo sulle nostre spalle. Penso che ci sia davvero una cultura nello sport della necessità di essere sempre autosufficienti, pensando che solo tu puoi fare di più e che puoi sempre continuare a spingerti oltre. Penso che a volte sia una sfida, soprattutto nel mondo dello sport, fare un passo indietro e dire che stai lottando o che sei ferito o che hai bisogno di aiuto, e siamo davvero programmati per mettere da parte queste cose.” ha detto Paul Poirier, danzatore sul ghiaccio canadese.

Gli atleti devono essere in ottima forma fisica per esibirsi al meglio nei loro eventi, ma un numero crescente di loro sta iniziando a considerando maggiormente anche la salute mentale in questo contesto. Affrontare le sfide sulla salute mentale non è facile per nessuno e gli atleti vogliono si sappia che stanno attraversando la stessa situazione.

Servirebbero due parole per descrivere il motorsport: gioco mentale.

I piloti sono tenuti ad essere concentrati per compiere dei buoni giri di qualifica e fare ottimi risultati in gara, e non possono pensare ad altro. Non si può nemmeno immaginare quanto possa essere complicato per un pilota pensare a tutto nel giro di un millesimo.

Dall’esterno i piloti possono sembrare dei supereroi che guidano a velocità pazzesche e che hanno una forza mentale stratosferica per sopportare che possano lasciare la vita correndo in monoposto che sfrecciano a oltre 300 km/h. Spesso ci si dimentica che dietro ai caschi si nascondono degli esseri umani, proprio come noi. I piloti sono sottoposti ad uno stress enorme per raggiungere risultati importanti nel mondo del Motorsport e spesso la pressione può avere un grosso impatto sulla loro salute mentale e può anche spingerli a ritirarsi.

Questo è il caso di Thomas Ten Brinke, un pilota olandese alla guida della ART Grand Prix in Formula Regional European Championship, il quale ha deciso di lasciare la sua carriera nel Motorsport, per una questione di salute mentale. Verso la fine di giugno 2021 ha spiegato che avrebbe lasciato la FRECA con effetto immediato.

La sua decisione è maturata per via della troppa pressione che accusava in monoposto; ha spiegato che dopo il passaggio dalla F4, ha iniziato a sentire una pressione mai provata fino a quel momento già dopo le prime gare della FRECA, in cui la pressione nel raggiungere buoni risultati è diventata tale da iniziare a destabilizzarlo mentalmente. Nonostante abbia provato a farsi aiutare, questa pressione lo ha privato della passione e della gioia di correre.

F1 Feeder Series on Twitter

Non è l’ultimo pilota che ha dovuto ritirarsi dalla carriera agonistica a causa della pressione. Anche Max Fewtrell, pilota inglese della Renault Sport Academy, ha dovuto lasciare il team Hitech GP e quindi di non gareggiare più per le ultime tre gare del campionato di FIA Formula 3 Championship del 2020, complice le numerose difficoltà che ha rincontrato nell’entrare in zona punti, mentre i suoi compagni di squadra si sono messi in mostra salendo vincendo e salendo sul podio, e un amore mai sbocciato tra il pilota e il team.


Anche due campioni del mondo come Mika Häkkinen e Nico Rosberg hanno sofferto tantissimo la pressione mentale.

Per il finlandese è incominciato nell’ultimo giro del Gran Premio di Spagna del 2001, quando si dovette ritirare per un problema alla frizione. In diverse interviste, rivelò che si fece aiutare da uno specialista con la pressione mentale dopo il ritiro, che lo spinsero a prendersi un anno sabbatico dalle corse nello stesso anno. Dopo diversi sessioni di prove con la McLaren nel 2006 capì che non era pronto a tornare nel suo vecchio mondo.

Invece per il tedesco intuì come sarebbe stato importante essere seguito da un mental coach dopo il Gran Premio di Malesia del 2016. Dopo quel week-end, iniziò a sentire una fortissima pressione mediatica ed iniziò a stare male dal punto di vista mentale. Dopo la vittoria del titolo mondiale nel 2016 con la Mercedes scelse di ritirarsi dalle corse da campione del mondo, proprio come aveva fatto suo padre Keke Rosberg.

All in the mind: Uncovering the mental tools drivers like Sebastian Vettel and Charles Leclerc use to win in F1 | Formula 1

Attualmente tutti i piloti di Formula Uno sono seguiti da mental coaches per allenare le proprie menti alla pressione ed affrontare le loro paure ed insicurezze. Sono anche più aperti nel dichiarare questo problema con i media. Romain Grosjean, in particolare, dopo il gravissimo incidente nel Gran Premio del Bahrain nel 2020, ha dichiarato pubblicamente che si sta facendo aiutare da uno psichiatra per superare gli effetti mentali che ha subito, mentre continua la sua carriera in Indycar.

Romain Grosjean, fonte Sportguide

Anche Valtteri Bottas, pilota attivo in Formula 1 con la Williams dal 2013 e successivamente con la Mercedes dal 2017 prima di approdare in Alfa Romeo nel 2022, ha deciso di raccontare la sua provata esperienza al quotidiano tabloid finlandese di Iltalehti, vissuta con la costante ricerca della competitività che è sfociata in un’ossessione della perdita di peso, nel desiderio di abbandonare definitivamente il motorsport, ma soprattutto nella impassibilità di fronte alla prospettiva della propria morte.

Dovevo prendere un aereo e la mia ex moglie mi ha augurato che il volo andasse bene. Io le ho risposto dicendo che non importava se l’aereo si fosse schiantato, in tal caso sarei semplicemente morto. Questo è il tipo di pensieri che ho iniziato ad avere, come se niente avesse avuto più importanza“, così ha rivelato il pilota filandese.

Nel corso della chiacchierata Bottas ha raccontato di come la sua ricerca del successo in Formula 1 sia diventata una vera e propria ossessione che lo ha portato a soffrire di seri problemi di salute e alimentari, fortunatamente affrontati in tempo sia da lui che dagli specialisti che lo hanno seguito durante le varie stagioni in pista grazie ai consigli di Emilia Pikkarainen, la sua ex moglie.

Valtteri Bottas, fonte Internet

Lando Norris si è aperto parlando in prima persona della sua esperienza con la salute mentale durante il suo primo anno in Formula 1, rivelando di aver sofferto di disturbi d’ansia. Ha rilevato che lui indossava la maschera del ragazzo vivace ed allegro per coprire la sue ansie e paure. Durante le sue prime gare, era sotto pressione per fare bene. Questo contribuiva in maniera negativa sulla sua salute mentale e alla sua poca autostima in se stesso. “Ho iniziato a chiedermi se anche altri piloti in passato avessero avuto gli stessi problemi. In questo sport nessuno vuole risultare debole e quindi non si parla della salute mentale tanto quanto si dovrebbe. È qualcosa che riguarda tutti noi, eppure la gente sente di non poterne parlare. Questo deve cambiare e spero che il lavoro che stiamo facendo in McLaren per supportare Mind possa contribuire a migliorare le salute mentale di tutti.”

McLaren Racing – Can we just talk?

Lando Norris, fonte McLaren

Durante il periodo in lockdown dettato dalla pandemia da Covid 19, la McLaren è stata la prima squadra ad iniziare una campagna di sensibilizzazione della mental health, annunciando la partnership con Mind, un’associazione di beneficenza inglese, a sostegno della campagna #WeRaceAsOne. L’associazione fornisce consulenza e supporto alle persone che sono in difficoltà dal punto di vista mentale. Il team di Woking ha dichiarato che la partnership avrebbe aumentato il focus sulla salute mentale come parte del loro programma di salute e benessere dei propri meccanici ed ingegneri.

La McLaren ha organizzato diverse estrazioni a premi per coinvolgere i fan sull’importanza di questo progetto, incentivandoli anche a donare direttamente all’associazione. I soldi ricavati dai vari eventi organizzati da McLaren e parte dei profitti derivanti dalla vendita del merchandising McLaren, sono stati devoluti a Mind.

La collaborazione fra McLaren Racing e Mind prevede l’utilizzo del logo Mind sulle livree, sulle tute e sui caschi dei piloti. Per incrementare l’audience a sostegno di questa campagna, i piloti 2020 della McLaren Lando Norris e Carlos Sainz jr avevano disegnato dei caschi particolari, indossati durante il Gran Premio del Nurburgring in occasione del World Mental Health Day del 10 ottobre. I caschi sono stati poi battuti all’asta per quasi 60.000 sterline. A fine stagione la McLaren ha dichiarato di aver donato 285.000 sterline a Mind, come parte di una raccolta fondi totale di 420.000 sterline a sostegno dei disagi creati dalla pandemia.

I caschi dei piloti in occasione del Gran Premio del Nurburgring del 2020

Questa collaborazione verrà estesa anche nel 2021, annunciando anche diverse attività per coinvolgere i fan riguardo la mental health awareness. Un primo assaggio di queste iniziative è stato annunciato in occasione della presentazione della livrea celebrativa della McLaren x Gulf Oil per il Gran Premio di Monaco. I caschi “vintage” di Lando Norris e Daniel Ricciardo, nuovo pilota McLaren dopo la dipartita di Carlos Sainz jr, sono stati venduti attraverso un prize draw come l’anno precedente, per raccogliere fondi a sostegno della campagna.

Il CEO di McLaren Zak Brown si è espresso più volte sulla collaborazione con Mind, sottolineando l’importanza della mental health awareness. “In un ambiente così fast-paced come la Formula 1 è facile lasciarsi sopraffare dalla pressione e dalle aspettative che ci vengono poste. Come McLaren cerchiamo di fare il possibile per ampliare la nostra conoscenza dei disturbi mentali per essere in grado di offrire soluzioni e supporto alla nostra gente”.

Fonte Motorsportweek.com

Durante la stagione 2022, Toto Wolff si è aperto in maniera particolarmente profonda sul tema, ammettendo di avere sofferto – e di soffrire ancora – di disturbi legati alla salute mentale. “Vado da uno psichiatra dal 2004, penso di aver fatto più di 500 ore di terapia. Ho sofferto mentalmente, spesso mi succede ancora. Ottenere aiuto è un modo per superare i miei problemi e accedere al mio potenziale non sfruttato” aveva dichiarato il manager austriaco nel corso di un’intervista al The Times.

Toto Talks Mental Health for #WorldMentalHealthDay

Il dottor Brad Brenner di WithTherapy ha spiegato perché è più probabile che le persone ad alte prestazioni abbiano problemi di salute mentale. “Ore estenuanti, continue critiche da parte di altri, inclusi estranei, e la perdita dell’identità che possedevi una volta possono aprire la porta a condizioni di salute mentale come la depressione.”.

Sulla questione, una volta tanto per supportare l’avversario, si è aperto anche il boss di casa Red Bull, Christian Horner. Il massimo dirigente del team di Milton Keynes ha infatti reso merito a Wolff per aver indirizzato i riflettori su questo argomento.

A Toto va tutto il merito per aver avuto il coraggio di parlare dei suoi problemi di salute mentale – ha dichiarato Horner, parlando davanti alla stampa in Bahrain a margine del primo GP della stagione 2022  – penso che sia qualcosa di cui siamo estremamente consapevoli in questo business e su cui cerchiamo di essere proattivi. Io sono stato fortunato a non aver avuto problemi personalmente, ma ho avuto degli amici che conosco che hanno sofferto a causa di problemi di salute mentale”, ha concluso il team principal del team austriaco.

Christian Horner e Toto Wolff, fonte Getty Images

Se in Formula 1 lo stigma della psicologia dello sport viene ancora perpetuato da coloro che avrebbero, invece, il compito di aiutare i propri piloti a raggiungere il benessere necessario per conquistare le alte aspettative della categoria regina dell’automobilismo a ruote scoperte, la MotoGP ha visto alcuni di quegli stessi piloti raccontare dei momenti in cui si sono sentiti più vulnerabili, consapevoli che per molti sia troppo difficile cogliere l’umanità dietro ai volti di quegli idoli forgiati dall’ebrezza della corsa.

Marc Marquez ha avuto un prima e un dopo nella sua carriera in MotoGP: in occasione del Gran Premio di Spagna del 2020, sulla pista di Jerez de la Frontera, il Re della MotoGP si lancia in una rimonta che diventa letteralmente (e tragicamente) mozzafiato; alla curva 3 accade l’impensabile in cui il pilota spagnolo taglia sul cordolo, perde il posteriore e cade in modo terribile. Atterra davanti alla sua moto, la quale finisce con opprimergli il braccio destroArriverà la conferma di una frattura all’omero e così l’inizio del suo calvario.

Andare in moto non si dimentica, è come chi sa sciare, che da una stagione all’altra fa la prima discesa con più calma e poi se ne va. Ma avevo un limite fisico dovuto al mio braccio. Quando il dolore aumentava, la forza diminuiva e non potevo guidare come volevo. E quando ho iniziato a godermela un po’, è arrivata la lesione all’occhio, che mi ha tenuto fuori per altri due mesi e mezzo”, ha raccontato Marc Marquez alle penne di El Pais.

Il primo intervento, il rientro in pista troppo precoce, il forte dolore, la seconda e la terza operazione: nove mesi sono trascorsi tra incertezze e sofferenze, e sono arrivate la diplopia e la depressione. 

Anche Aleix Espargarò, pilota di MotoGP attivo con l’Aprilia dal 2017, ha trovato supporto in quella figura così discussa dello psicologo dello sport: “Soprattutto nel 2018 e nel 2019 ho fatto molti incontri con lui tramite Zoom e sono andato con lui anche a Barcellona per lavorare in un’università sportiva. Mi ha aiutato molto. Ora non lo uso più regolarmente, ma solo quando ho dei dubbi“, ha raccontato il pilota spagnolo, “Lo trovo davvero utile perché ti dà la prospettiva dall’altra parteLa testa è la parte più importante del nostro corpo e la nostra vera forza. Ecco perché me ne prendo cura.”

Ho lavorato con uno psicologo, con un fisioterapista, un personal coach, con i miei ingegneri e meccanici… Devi lavorare tutti i giorni. La pressione è molto difficile da assimilare se sei solo“, è stata la confessione di Maverick Vinales, campione del mondo di Moto3 nel 2013, attualmente pilota di MotoGP per l’Aprilia, in seguito alle accuse ricevute in occasione del Gran Premio di Stiria 2021, che lo avrebbero visto mettere a rischio uno dei motori della sua M1.

Di questa stagione 2022 sono le parole di Alex Rins, pilota di MotoGP per la Suzuki, che dimostrano l’importanza di un supporto psicologico nel mondo del motorsport: “Ho lavorato sulla mente con uno psicologo, e mi sono concentrato anche sul fisico. La moto ha fatto un passo in avanti e anche questo aiuta. È tutto una somma, che la moto vada bene e che il pilota faccia un buon lavoro“.

Se abbiamo una presa di coscienza da parte di team e piloti, non si può dimenticare come la figura della psicologo ancora oggi viene stigmatizzata al punto da essere utilizzata come una beffa ai danni del paziente, che prima di essere tale è un umano come tutti gli altri. Il caso è di Helmut Marko che ancora una volta gli dobbiamo un applauso per aver contribuito a dare alla Formula 1 un ambiente migliore.

Abbiamo ingaggiato un psicologo per lavorare con lui perché continua a sbraitare in curva e questo ha inficiato le sue prestazioni“, avrebbe rivelato Marko, “Dovremmo tenere sotto controllo le nostre emozioni. Grazie a Dio Max è calmo, mentre il nostro bambino problematico è Tsunoda. Esplode alla radio.“ in risposta alla scelta del pilota giapponese di trasferirsi a Faenza a metà 2022, sede dell’AlphaTauri dopo una prima metà di stagione non brillantissima per il rookie.

La dichiarazione lascia perplessi non per i motivi che Helmut si aspetterebbe, ma perché non era nella posizione di poter rivelare un’informazione così personale ai media (c’è un motivo se lo psicologo non ci saluta per primo se ci incontra per strada in allegra compagnia, e quel motivo richiama al nostro diritto di privacy e del segreto professionale, alla possibilità di rendere partecipi del nostro percorso solo chi desideriamo). Lascia ancora più infastiditi che questa informazione sia stata utilizzata per illustrare la condizione di chi è stato definito come “ragazzino problematico“, contribuendo a condannare l’importanza della salute mentale nel mondo dello sport.

Elementi raccolti grazie a https://mult1formula.com/, www.mclaren.com, https://www.vanityfair.it/, https://www.eurosport.it/, http://www.hitechgp.co.uk/, https://time.com/, https://olympics.com, https://www.elle.com/, Accueil – ART Grand Prix (art-grandprix.com), https://www.formulapassion.it/, https://cupofgreentea.it/, Motorsportweek.com e https://www.formula1.com/.

Lascia un commento

Comments (

0

)

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora